11 settembre 2008

Figure di m. (volume uno)


Qualche anno fa lavorai in un negozio di dischi. O meglio nella seconda, piccola sede di un negozio più grande, di cui mi era stata affidata la gestione. Avevo le chiavi, aprivo e chiudevo io. I proprietari passavano giusto una volta alla settimana a portare i nuovi arrivi. Inutile dire che mi divertivo un sacco!

Il locale aveva una pecca: non era dotato del bagno, manco in cortile, manco un misero cesso. Di abitudine, usavo quello di un bar nelle vicinanze.
Anch’io avevo una pecca, tra le altre: soffrivo di colite fulminante, ovvero mi capitava di avere attacchi di scagozzo improvvisi e assolutamente irrefrenabili.

Di solito questi attacchi mi avvisavano con qualche minuto di anticipo e riuscivo a gestire la situazione, comprese alcune volte in cui mi si vedeva sfrecciare per la strada in direzione del bar.
Un giorno capii che non sarei mai riuscito ad arrivare fino a quel bagno. Panico!



Bisogna precisare che il negozietto era praticamente un monolocale con due grandi vetrine, una con la porta d’ingresso annessa. Quindi dalla strada era visibile integralmente. C’era però una porta scorrevole che separava il negozio dalla porta del retro, che dava sulle scale del palazzo attiguo (e di cui non avevo la chiave). Tra le due porte uno spazio che utilizzavamo come ripostiglio per le scope e i prodotti per le pulizie. Uno spazietto proprio piccolo, saranno stati in centimetri una cosa come 60x100.

Quel giorno, dicevo, l’attacco si presentò più fulminante del solito. Praticamente a breve mi sarei cacato addosso. Fortunatamente, se non altro, non c'erano clienti.
In momenti come quelli il nostro cervello elabora a velocità rapidissima in cerca della soluzione migliore che, in quella situazione, era anche l’unica possibile.

Presi sotto braccio un quotidiano, volai alla porta di ingresso per chiuderla, girare verso l’esterno il cartello “Torno Subito” e mi precipitai in quella specie di mini-sgabuzzino. Giusto in tempo per chiudermici dentro, stendere il giornale per terra e scaricarci sopra una delle defecazioni più violente e devastanti che mi siano mai capitate. Per altro - mi accorsi pochi attimi dopo - accompagnata dal tanfo più inverosimile e penetrante che il mio corpo abbia mai prodotto (e, spero, mai più produrrà).

Dopo aver completato l’evacuazione, con la fronte sudatissima e le gambe tremanti, in quello spazio ridotto (e buio!), provai un sollievo inspiegabile. Anche perché realizzai che lì, tra le scope e i detersivi, c’era pure un rotolone di morbida e adattissima carta da cucina. Era andato tutto bene!

Il momento magico finì presto quando, una volta ricomposto e rivestito, scostai la porta scorrevole il minimo indispensabile per poter sbirciare, e mi accorsi che fuori dal negozio c’era un cliente che pazientemente aspettava il mio ritorno e la riapertura. I francesi direbbero l’unica parola adatta alla situazione: merd!

Riassumiamo la scena: mi trovavo dietro una porta, in uno spazio buio e piccolo non più di 60x100 centimetri, con un giornale pieno di materia pseudo-atomica (che ora giaceva accartocciato ai miei piedi) e avvolto da un odore terrificante. Di fronte a me, a pochi passi, la porta a vetri con il cliente. Come potevo uscirne dignitosamente?!

Anche in questo caso feci (altra parola molto adatta) l’unica cosa possibile. Afferrai un provvidenziale spray per ambienti al profumo di lavanda e lo sparai indirizzando il getto oltre la fessura della porta scorrevole, sperando che l’odore marcio dello stanzino non avesse invaso più di tanto il negozio che ora veniva pervaso di un’innaturale fragranza di lavanda.

Altra sbirciatina dalla fessura. Il cliente era sempre lì, fermo, inossidabile, rivolto nella mia direzione. A quel punto dovevo uscire, con un rapido e misurato movimento della porta scorrevole, simulando il mio ingresso nel negozio come se arrivassi da chissà quale altro ambiente. E abbastanza rapido da non far scorgere che ero in una specie di sgabuzzino minuscolo e immerso nel buio più totale.
Così feci (aridaje), dopo essermi asciugato alla meglio il sudore, richiudendomi rapidamente la porta alle spalle e attraversando con simulata fierezza i pochi metri che mi separavano dal tipo. Aprii la porta, scusandomi per averlo fatto attendere (spalancandola nella speranza di un rapido cambio d’aria) e mi sistemai dietro il bancone.

Forse era andata. Forse avevo gestito la situazione nel migliore dei modi, evitando figure di cacca (…già) e mantenendo dignità, serietà e non-chalances. Anche il cliente si comportava normalmente, non dava segnali di disagio mentre girava tra i dischi, soffermandosi a guardarne alcuni. Forse ce l’avevo fatta!

Quando rimasi nuovamente solo andai a recuperare il giornale accartocciato e uscii fuori per infilarlo nel cassonetto e fumarmi un’agognata sigaretta. Quel po’ di tensione che m’era rimasta nelle gambe se ne andò. Smisi finalmente di sudare freddo e mi rilassai, trovando finalmente pace. Aaaah meno male. Poteva andare molto peggio…

Finita la sigaretta rientrai nel negozio. In quel momento fui investito da una nuova, tremenda consapevolezza. Arrivando da fuori, con l’olfatto ormai abituato all’aria aperta, mi si presentò al naso ciò che prima non potevo sentire, viziato dall’aver respirato i miei odoracci per diversi minuti nello stanzino. Ora, ciò che arrivava alle mie rinnovate narici - e che pochi minuti prima sarà arrivato a quelle del cliente - era una terribile, violenta, nauseabonda, schifosissima puzza di merda... alla lavanda!
Oddio, nooooooooooooooooooooooooooooo!!!

on the air: “Sogno B” di Daniele Silvestri (of course!)

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Mi inchino.
Devo dire che inizialmente avevo sperato nel classico secchio del mocio. Ma sarebbe stato troppo facile (e Murphy tutto questo lo sa).

la tua collega gio

Anonimo ha detto...

s-pirito di sopravvivenza eccellente. la colite fulminante non fa sconti. ma poi quel cliente ha acquistato qualcosa? :D

La_Ila ha detto...

fantastico. meglio che leggere un racconto del primo Niccolo Ammaniti. chapeau.

Anonimo ha detto...

Commento in ritardo, arrivo da last.fm e mi sono letto qualche post arretrato. Però non resistevo (ops) a dire che dopo aver letto questo racconto attendo il volume due (vista la parentesi nel titolo) :)