Non è per fare lo snob se di Lucio Battisti scelgo uno dei dischi che ha venduto meno, uno dei pochi - gli ultimi - senza Mogol a scriverne i testi.
“L’apparenza” è il terzo album del dopo-Mogol e il secondo che vede la collaborazione con il poeta Pasquale Panella. Avviene però una svolta notevole. Panella chiede (forse impone) e ottiene un nuovo modo di comporre le canzoni: questa volta i testi saranno scritti per primi.
Così la musica e la struttura delle canzoni dovranno adattarsi alle liriche, modo piuttosto insolito – e decisamente più impegnativo - di comporre. E qui si vedrà l’abilità e il genio di Battisti nell’inventare e costruire architetture spesso ardite, a sorreggere i testi sempre più criptici e originali.
Innovativo sarà anche l’uso dell’elettronica in un genere che non l’aveva mai conosciuta. L’intento dichiarato del nuovo Battisti era l’eliminazione dell’aspetto emotivo dalle canzoni; i dischi di quel periodo diventano così piuttosto ostici per il grande pubblico e destinati a dividere in modo netto la critica.
Che piaccia o meno il risultato – personalmente lo trovo straordinario ed esaltante – “L’apparenza” è l’emblema del cambiamento, un simbolo di progresso, una rivoluzione antiteticamente inapparente ma oltremodo concreta e tangibile nella musica italiana.
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